Il Tribunale di Roma si pronuncia sulla possibilità di ricorso per via paterna senza preventiva domanda al Consolato competente.

  • 27 Aprile 2021 alle 09:09

In base all’interpretazione che la giurisprudenza offre della legge n. 91/1992, nell’ipotesi di discendenza paterna da avo italiano il riconoscimento della cittadinanza in via amministrativa non dovrebbe trovare ostacoli. Ciò in quanto non vi sono problemi di interpretazione normativa e dichiarazioni di incostituzionalità, e pertanto – se la documentazione è valida – tutte le domande dovrebbero essere accolte, senza necessità di ricorrere ad accertamenti giudiziari.

Gli interessati dovrebbero quindi presentare domanda al Consolato di residenza ed attendere il compimento dell’iter amministrativo.

Su tali premesse, l’orientamento risalente del Tribunale di Roma (fra gli altri Trib. Roma, sentenza n. 18710/2016 del 10.10.2016) non riconosceva al discendente in linea paterna la legittimazione ad adire l’Autorità Giudiziaria senza prima aver esperito il procedimento consolare.

Tale orientamento ha cominciato ad incrinarsi nel momento in cui i discendenti all’estero hanno contestato le lungaggini dei Consolati nell’evasione delle domande. Come noto, in particolari Stati (fra tutti il Brasile) le liste di attesa per le domande di cittadinanza sono pressochè infinite ed il tempo di definizione dei procedimenti ha superato il decennio (nel Consolato di San Paolo in Brasile l’attesa attualmente è giunta a 13 anni).

Il Tribunale di Roma ha quindi preso atto di tale blocco totale ed ha statuito che “anche indipendentemente dalle previsioni normative sopra richiamate, si può affermare che simili coordinate temporali si sostanzino in un diniego di riconoscimento del diritto vantato dai richiedenti, giustificando così il loro accesso alla via giurisdizionale” (Tribunale Roma, sez. I, 29/01/2019, n. 2055). Si ammetteva così la possibilità di adire il Tribunale laddove lo Stato Italiano (per opera dei propri Consolati) non fosse stato in grado di evadere la richiesta entro il termine previsto dalla legge, ovvero nei 730 giorni indicati dal DPCM n. 33 del 17 gennaio 2014.

L’orientamento del Tribunale si è poi evoluto ulteriormente e nell’ultimo periodo sono intervenute delle interessanti pronunce del Tribunale di Roma, in base alle quali non è più richiesto il trascorso del termine di 730 giorni ed anzi non richiedono nemmeno più la necessità di una preventiva presentazione della domanda avanti il Consolato.

Si segnalano nello specifico due ordinanze (Trib. Roma ord. 25/02/2020; Trib. Roma 9.9.2020 R.G. n. 38773/2019), in base alle quali si è affermato che la disciplina in materia non impone, ai fini dell’accertamento del relativo diritto, la domanda o l’iter amministrativo come presupposto o condizione per la domanda in sede giudiziale.

Ciò deriva dal fatto che i limiti di accesso alla giurisdizione devono risultare da espressa previsione legislativa (assente nel caso di specie) e che non si può impedire l’esercizio dell’azione giurisdizionale ai sensi dell’art. 24 Costituzione mediante applicazione analogica o interpretazione estensiva di previsioni normative non specificamente previste per il caso in esame.

Infine, trattandosi di un procedimento sullo stato e capacità delle persone, al cittadino deve essere sempre concessa tutela ex art. 113 Cost. davanti al giudice ordinario (in tal senso Cass. civ. Sez. Un. del 09/12/2008, n.28873) ed inoltre si è fatto notare che il d.lgs. n. 150/2011 (che disciplina il rito delle controversie in materia di cittadinanza devolute al giudice ordinario) utilizza il concetto di “accertamento dello stato di cittadinanza” e non di “impugnazione o opposizione” di un provvedimento del Consolato. 

In conclusione, si può quindi ritenere che si stia affermando un orientamento più favorevole ai discendenti di avi italiani emigrati all’estero, i quali potranno far valere il loro diritto al riconoscimento della cittadinanza promuovendo direttamente ricorso giudiziale avanti il Tribunale di Roma senza attendere il trascorrere del termine di 730 giorni per la conclusione del procedimento consolare.


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