
- 11 Marzo 2025 alle 09:59
Con Ordinanza del 26 novembre 2024 il Tribunale di Bologna ha sollevato – nell’ambito di un processo promosso da discendenti jure sanguinis di un avo italiano emigrato in Brasile alla fine del 1800 – questione di legittimità costituzionale dell’attuale Legge italiana che disciplina l’acquisizione della cittadinanza (Legge 5 febbraio 1992, n. 91), il cui articolo 1 prevede che “È cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini».
Il Tribunale di Bologna ha argomentato in maniera molto articolata, analizzando anche le premesse storiche (che pongono l’Italia quale secondo Paese al mondo con la più alta emigrazione, dopo la Cina) e comparatistiche (sottolineando che l’Italia è uno dei pochi ordinamento che non pone limiti, diversamente da molti alti stati europei quali il Regno Unito, l’Irlanda, il Portogallo). Ha sollevato il dubbio che l’attuale assetto normativo non sia compatibile con una nozione sostanziale della cittadinanza, che non dovrebbe essere correlata al solo legame di sangue, ma che dovrebbe intendersi come partecipazione attiva alla Comunità (in tal senso, il Tribunale ha dato rilievo alla nozione di popolo, legato ad un determinato territorio e ad una unità di storia, cultura, lingua.) In particolare, è contestata la compatibilità della legge 91 laddove non pone alcun limite al trasferimento della cittadinanza, con l’effetto ben noto che migliaia (o milioni) di persone hanno facoltà di avanzare la richiesta di cittadinanza per il solo fatto di vantare un antico ascendente italiano emigrato dall’Italia 100 o più anni prima.
La Corte Costituzionale ha fissato l’udienza per la discussione al prossimo 24 giugno 2025, all’esito della quale – sentite le parti – la decisione sarà presa previo un opportuno periodo di analisi e valutazioni giuridiche.
Gli scenari che si prospettano sono piuttosto vari, in primis per la ovvia possibilità di respingere il ricorso sia per motivi di merito sia per motivi processuali. Qualora la Corte dovesse accogliere il ricorso potrebbe pronunciare sentenza di accoglimento interpretativa o additiva (quindi ponendo di fatto dei limiti, dichiarando “illegittima la norma nel punto in cui non…”), per quanto sul punto c’è ampio dibattito sulla possibilità per la Corte di pronunciare sentenze modificative della norma, compito che spetta unicamente al Legislatore.
Come detto le opzioni sono molte, e anche la stessa definizione di un limite potrebbe declinarsi in più modi. Si è pensato, ad esempio, a porre dei limiti generazionali e lo stesso Tribunale di Bologna suggerisce come ipotesi plausibile il limite di due generazioni che potrebbero far valere il proprio diritto alla cittadinanza; oppure altra ipotesi potrebbe essere quella di applicare al diritto di trasmissibilità al periodo massimo di prescrizione (quindi 20 anni), o consentire la richiesta di cittadinanza unicamente se il soggetto trascorre un certo periodo di tempo in Italia (es. dopo due anni di residenza comprovata sul territorio nazionale).
Se il ricorso dovesse essere accolto, va ricordato che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione e che vengono travolti tutti i rapporti pendenti e non definiti alla data della pronuncia. L’art. 137 Cost. precisa infatti che L’efficacia retroattiva della sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate e intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale.
Ciò comporta che tutte le richieste ed i processi pendenti alla data della pronuncia di incostituzionalità della norma, non potrebbero più essere decise con il precedente assetto normativo e non potrebbero trovare accoglimento i processi fondati oltre i limiti che eventualmente dovessero essere stabiliti dalla Corte Costituzionale.
Occorre quindi prudenza nell’instaurare nuovi processi di riconoscimento di cittadinanza, soprattutto laddove i richiedenti non possano vantare un qualche collegamento sostanziale con la nostra Nazione, quali ad es. conoscere la lingua, l’aver viaggiato o l’aver mantenuto rapporti con l’Italia, consapevoli che la pronuncia di illegittimità costituzionale potrebbe travolgere tutti gli orientamenti che ormai si danno per acquisiti e consolidati.