
- 30 Settembre 2020 alle 10:26
Nell’ambito delle pratiche amministrative per l’iscrizione anagrafica nei registri comunali, è nota la prassi di alcuni Uffici di chiedere – al momento della presentazione della domanda – la produzione di debita documentazione comprovante l’occupazione stabile di un immobile. Tale documentazione viene spesso indicata in un contratto di locazione con una durata minima, in genere di un 1 anno.
La presente disamina dovrà partire da una breve analisi del concetto di residenza e dei principi elaborati dalla giurisprudenza.
Il codice civile precisa (art. 43) che “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”; null’altro viene specificato e la normativa non definisce esplicitamente cosa si intenda per dimora abituale. Ciò posto, la dottrina e la giurisprudenza hanno interpretato e arricchito gli scarni precetti normativi, giungendo ad affermare che:
– la stabilità dell’abitazione è garantita a prescindere dalla durata del soggiorno del richiedente, qualora il soggetto soggiorni nel luogo indicato con continuità;
– l’iscrizione anagrafica è consentita in relazione a qualunque titolo e durata del permesso di soggiorno, anche se temporaneo (così D.P.R. 30 maggio 1989, n. 123 art. 7 e ancora dal Ministero dell’Interno e Prefettura di Ferrara, Nota prot. n. 10214/2003/Area IV, del 30 gennaio 2003, in Lo stato civ. it., 5/2003, 372);
– la residenza è compatibile con lo stabilire la dimora presso strutture extralberghiere, in quanto il contratto cosiddetto di residence non è incompatibile con un godimento di carattere stabile (in tal senso espressamente Cass. civ. III Sezione, 14 maggio 1999 n. 4763). In merito, anche il TAR Veneto (Sezione II, 23 marzo 2009 sent. 736) ha affermato chiaramente – per quanto incidentalmente in una pronuncia che verteva su altro – che la residenza può essere fissata anche in una struttura extralberghiera e anche se il richiedente è ivi domiciliato con contratto di residence dalla durata temporanea.
Ancora, la legittimità di una tale opzione abitativa è confermata anche dalla dottrina: fra tutti, si segnala il recente FRANCIONI, Manuale pratico dell’ufficiale d’anagrafe. Disciplina, adempimenti e procedure, Maggioli Editore, 2016, p. 99. Questo perché l’abitualità va osservata nell’attualità della richiesta (da evadersi entro 45 giorni) e a nulla importa che il contratto sia di 6 mesi rinnovabili, 1 anno o 4 anni standard. Il funzionario pubblico, infatti, non deve valutare le intenzioni di permanenza del richiedente, ma solo lo stato di fatto consistente nella dimora abituale nell’attualità della domanda.
Lo stesso art. 5 del decreto legge n. 47 del 28 marzo 2014, convertito in legge n. 80 del 23 maggio 2014 (citato spesso dalle Pubbliche amministrazioni per la richiesta di contratti di locazione) non impone affatto di produrre un simile contratto. La norma è stata introdotta per combattere le abusive occupazioni, ma il richiedente può produrre qualsiasi documentazione atta a dimostrare la legittimità dell’occupazione del luogo eletto per la dimora. Occupazione che non dovrà necessariamente derivare da una locazione, ma potrà essere anche solo per tolleranza del proprietario. Lo conferma anche il Ministero dell’Interno, che nella circolare n. 14 del 6.8.2014 ha espressamente indicato la possibilità di allegare un’autocertificazione che attesti il libero godimento dell’alloggio, a qualsiasi titolo purchè legittimo, quindi anche per mera ospitalità del proprietario.
Come si può notare, tali principi e tali fattispecie sono incompatibili con la necessaria presenza di un contratto di locazione con una durata minima ai fini dell’iscrizione nei registri anagrafici.
Tale conclusione è suffragata, oltre a quanto sopra, anche da ulteriori riferimenti di varia natura:
- Normativi: la legge 24 dicembre 1954, n. 1228 ed il D.P.R. 30 maggio 1989, n.123 prevedono il documento identificativo quale unico documento da allegare. In base al principio ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit si può affermare che, se la legge avesse ritenuto necessario uno specifico requisito, lo avrebbe richiesto esplicitamente.
- Di prassi: in particolare il Ministero dell’Interno (Circolare n. 8 del 1995 – laddove, proprio in relazione alla richiesta di documentazione integrativa a pena di inammissibilità, recita “la richiesta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini”).
- Dottrinale: alcuni autori che si sono dedicati all’argomento hanno ribadito l’impostazione su descritta. Fra gli altri, TORTORA M., L’anagrafe e le leggi ‘Bassanini’, in Italia V., De marco E., Bilancia P., Riforme e regolamenti degli enti locali, Milano, 2000, p. 157 e MOROZZO DELLA ROCCA, Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche in Il diritto di famiglia e delle persone, Giuffrè, 2003/4, p. 1013, nel quale l’autore specifica che “Ove, infatti, consti che l’amministrazione pretenda dai cittadini, come requisiti per ottenere l’iscrizione anagrafica, documenti o certificati non richiesti dalla legge, come un contratto di affitto, la dichiarazione dei redditi o i certificati penali, si è in presenza, probabilmente, di un abuso d’ufficio che potrebbe avere rilievo in sede penale”.
Si può quindi concludere affermando che non può essere richiesta, in sede di presentazione della domanda di residenza, l’esibizione di un contratto di locazione registrato con durata minima.