- 20 Settembre 2022 alle 18:08
Si registra una recente ed importante sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 24 agosto 2022, n. 25317), la quale ha definitivamente smantellato la ricostruzione giuridica a supporto della tesi della perdita della cittadinanza, propugnata dal Ministero degli Interni ed accolta in passato da qualche Corte di merito.
La c.d. “Grande Naturalizzazione” del 1889-1891 è stata introdotta con il “Decreto n. 58 A” emanato il 15.12.1889 dal Governo provvisorio brasiliano, confermata dalla Costituzione Brasiliana del 1891 (art. 69), secondo cui tutti gli stranieri di qualsiasi parte del mondo, e, quindi, anche gli italiani, presenti in territorio brasiliano alla data del 15-11-1889, giorno di proclamazione della Repubblica, avrebbero ottenuto la “naturalizzazione” automatica brasiliana a meno che non avessero manifestato entro sei mesi, dinanzi ai propri consolati, la volontà di permanere cittadini della nazione di origine. Da tale evento, applicando la normativa allora vigente, ne sarebbe conseguita la perdita della cittadinanza italiana in capo ai cittadini italiani così naturalizzati brasiliani.
Tale tesi era stata molte volte opposta dal Ministero nei procedimenti avanti il Tribunale di Roma, il quale tuttavia, l’aveva sempre rigettata (ord. del 23/06/2022 Repert. n. 12725/2022 in RG n. 43700/2020; ord. Trib. Roma 10.9.2020 in RG 19562/19; ord. Trib. Roma 26.02.2020 in RG 39026/18). Tuttavia, la tesi era stata di recente accolta da una pronuncia della Corte di Appello di Roma (sentenza depositata il 15-7-2021) che aveva creato molto scalpore.
Va detto che all’epoca dei fatti le Istituzioni Italiane protestarono per tale provvedimento, ritenendolo privo di effetti e incompatibile con i principi di diritto internazionale (dispaccio del 21 dicembre 1889 T.305, diretto alle Ambasciate italiane a Berlino, Londra, Madrid, Parigi, Vienna e alla Legazione di Lisbona del Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri di allora, Francesco Crispi – nota congiunta di protesta di Italia, Austria, Spagna e Portogallo inviata al Brasile il 22 maggio 1890). La legittimità, la rilevanza e l’efficacia di tale norma erano state sconfessate anche dalla Corte di Cassazione di Napoli con sentenza del 5 ottobre 1907.
Ora, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia di cui sopra, ribadisce che la perdita della cittadinanza deve risultare da un atto volontario ed esplicito, non potendosi interpretare l’art. 11 del codice civile del 1865 (allora vigente) nel senso che l’acquisto della cittadinanza straniera possa implicare in automatico la perdita della cittadinanza italiana, la quale richiede che detto acquisto sia avvenuto spontaneamente, mediante una dichiarazione espressa di rinuncia alla cittadinanza italiana.
I principi enunciati dalle Sezioni Unite si possono brevemente così riassumere:
- lo stato di cittadino, una volta acquisito jure sanguinis, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva, integrata dalla nascita da cittadino italiano. A chi richiede il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell’eventuale fattispecie interruttiva;
- l’istituto della perdita della cittadinanza italiana va rapportato anche ai sopravvenuti principi costituzionali e, in questa prospettiva, l’art. 11, n. 2, c.c. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia ottenuto la cittadinanza in Paese estero, sottintende che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto di una cittadinanza straniera. Il diritto in parola si può perdere per rinuncia, purché volontaria ed esplicita, in ossequio alla libertà individuale, quindi mai per rinunzia tacita;
- la fattispecie di perdita della cittadinanza italiana derivante dall’avere prestato impiego presso un Governo straniero, deve essere intesa come comprensiva dei soli impieghi governativi strettamente intesi, tali da imporre obblighi di gerarchia e fedeltà verso lo Stato straniero, di natura stabile e tendenzialmente definitiva.
In conclusione, tutti questi elementi non si rinvengono nell’applicazione automatica della cittadinanza brasiliana per effetto della Grande Naturalizzazione, difettando in quel caso una volontà espressa dei nostri concittadini all’estero, che avevano subito passivamente la decisione del Governo Brasiliano, con la conseguenza che tutti i discendenti da cittadini italiani emigrati in Brasile possono (ovviamente, sussistendo gli altri requisiti di legge) far valere il proprio diritto a prescindere dalla data di emigrazione dell’avo nel paese sudamericano.